mercoledì 26 gennaio 2011

Roma e pecorino

Pochi formaggi al mondo vantano origini così antiche come il Pecorino Romano. Da più di duemila anni le greggi di pecore che pascolano liberamente nelle campagne del Lazio producono il latte da cui viene ricavato questo formaggio.
                                   
       Già gli antichi romani apprezzavano il  Pecorino Romano. Nei palazzi imperiali era considerato il giusto condimento durante i banchetti, mentre la sua capacità di lunga conservazione ne faceva un alimento base delle razioni durante i viaggi delle legioni romane.
      Era talmente diffuso fra i Romani, che fu stabilita anche la razione giornaliera da dare ai legionari, come integrazione al pane e alla zuppa di farro: 27 grammi. Questo  formaggio ridava forza e vigore ai soldati stanchi e oggi sappiamo perché: il Pecorino Romano è una iniezione di energia e anche di facile digestione.  
       La lavorazione del latte di pecora descritta da Omero viene, nei secoli successivi,  codificata tanto che Columella, nel suo “De re rustica”, ne da una dettagliata descrizione:
<< Il latte viene generalmente fatto rapprendere con caglio di agnello o di capretto. Il secchio della mungitura, quando sia stato riempito di latte, si deve mantenere a medio calore. Non si deve tuttavia accostarlo al fuoco, ma si deve porre lontano da esso,  e appena il liquido si sarà rappreso, dovrà essere trasferito in cesti, panieri o forme.
      Infatti è essenziale che il siero possa scolare immediatamente ed essere separato dalla materia solida. Poi quando la parte solida è tolta dalle forme o da i panieri dovrà essere collocata in ambiente fresco e oscuro, perché non possa guastarsi, su tavole più pulite possibile, e cosparse di sale tritato affinché trasudi il proprio umore acido>>.
    Fino alla fine dell’Ottocento tutti i derivati del latte venivano trasportati da contadini, che in processione con i loro carretti, calavano a Roma dai Castelli Romani, seguendo la via consolare Appia. Questi trasportavano oltre ai formaggi, vino, verdure, carni e quant’altro prodotto nelle campagne romane.

             

         Non tutti sanno che le parole “burino” e “cafone”, infatti, derivano da questa sorta di periodica transumanza  di questi piccoli-grandi eroi della tradizione alimentare “de noantri”.
       Chi trasportava il burro, veniva soprannominato dal popolo il “burrino”, da qui, venendo a cadere la doppia “erre”, si è creato il primo toponimo. Altrettanto è accaduto per chi arrivava col carretto guidando o trascinando il proprio somaro “con la fune”, in romanesco “co ‘a fune”, indi fondendo le vocali, si è arrivati al nostro cafone.

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